Confcommercio, scomparsi 85mila negozi in 9 anni: come cambiano volto le città
di Emily Capozucca01 mar 2022 – (corriere.it)
«Non abbiamo mai detto e non diremo mai che le nostre città e i nostri centri storici corrono un rischio di desertificazione, stanno semplicemente cambiando aspetto». È ciò che ha tenuto a sottolineare ildirettore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella,durante la presentazione della settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, realizzata in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne. Dal rapporto (che esamina 120 Comuni medio-grandi escluse Roma, Milano; Napoli che necessito un’analisi a parte) emergono alcuni aspetti che vengono osservati con attenzione tenendo anche conto dell’impatto del Covid sugli assetti delle città.
Il cambiamento delle città
Come cambiano dunque le città e gli insediamenti commerciali e turistici?
Negli ultimi nove anni (dal 2012 al 2021) sono scomparsi quasi 85 mila negozi al dettaglio in
sede fissa nel nostro Paese, di cui quasi 4.500 durante la pandemia. «Se a questi aggiungiamo anche altri 10 mila scomparsi nel commercio ambulante arriviamo a quasi 100 mila riduzioni». Non è solo un solo un problema di pandemia. Il problema dipende anche dalla stagnazione dei consumi di tipo strutturale. L’Italia non è cresciuta negli ultimi 10 anni: «oggi i consumi in termini reali sono sotto i livelli del 1999 e lo stesso parametro in termini pro capite si colloca sotto i valori del 1998, cioè 17.297 euro del 2021 contro i 17.708 euro di 25 anni fa».
Il turismo
Un altro trend riscontrato è la crescita nel lungo termine delle attività legate al turismo. Che sembra siano cresciute anche durante la pandemia «ma che riguardano un problema di cancellazione dai registri camerali, o dal fatto che l’economia, grazie ai ristori e casse integrazioni, vive ancora in uno stato di congelamento». A crescere sono comunque le strutture di alloggio tipo B&B o appartamenti per soggiorni brevi o di altro genere, mentre gli alberghi veri e propri sono fermi. «Se guardiamo alle città d’arte le cancellazioni di strutture tradizionali sopravanzano le eventuali poche iscrizioni, determinando un saldo negativo dell’1,9%. Quindi questo conferma le nostre paure: nei centri storici delle città, soprattutto quelle più vocate al turismo, alla riduzione degli esercizi commerciali la pandemia ha inflitto il fenomeno del tutto nuovo della riduzione degli alberghi favorendo una crescita tumultuosa delle altre attività di alloggio».
Le imprese straniere
Si riscontra inoltre la crescita delle imprese straniere: tra il 2012 e il 2021 le imprese nel complesso di tutti i settori economici sono stabili in numero, effetto di un calo di circa 190mila unità delle italiane e di un analogo incremento delle straniere (la cui quota passa dal 7,8% del totale al 10,6%). Sono sparite 200mila imprese italiane mentre sono nate quasi 120 mila straniere che il 9 anni hanno fatto un balzo dal 10,7% al 19,1%.«Quando parliamo di integrazione ricordiamoci che il commercio fornisce un grande contributo fondamentale». La stessa cosa si verifica anche nell’occupazione: si riduce quella degli italiani mentre cresce quella degli stranieri.
Centri storici
«Sui centri storici – ha osservato Bella – c’è una prima evidenza meritevole di attenzione: la riduzione del dettaglio fisso è leggermente superiore a quella fuori dai centri storici, ma va considerato che il conteggio sconta una diversa struttura urbanistica tra centri e non centri». le riduzioni nei centri storici pesano di più, non perché le periferie siano meno importanti ma «perdere 4 negozi fuori dal centro magari vuole dire che cinque hanno chiuso e uno più grande ha aperto, con un saldo di meno 4. Nel centro storico queste sostituzioni sono tecnicamente molto più difficili».
Dinamica Sud-Centro-Nord
Diversa è anche la dinamica tra città del Sud e del Centro-Nord: ad esempio in 9 anni gli alberghi del Centro-Sud crescono di più del Centro Nord (89,3% contro 34%). Il problema potrebbe essere ricondotto «a una questione dal punto di vista urbanistico, di vivibilità delle città, della crescita delle strutture di affitti brevi o della ristorazione non strutturata nascoste
dentro i dati». Durante la pandemia sia al Nord che al Sud (soprattutto al Centro-Nord) una forte riduzione sia del commercio al dettaglio in sede fissa sia di quello ambulante «correlato al fatto che durante la pandemia il Nord ha avuto più perdite».
I settori
Le categorie che vendono di più sono quelli che riguardano la cura del sé e la tecnologia. Il resto è in discesa, soprattutto i consumi tradizionali, «quelli che sono stati espulsi dalle nostre città e si sono aggregati -per chi ce l’ha fatta- nei centri commerciali fuori dalle città: negozi di abbigliamento, calzature, libri, giocattoli, mobili, ferramenta».
L’e-commerce
Per quanto riguarda il rapporto tra negozi fisici e online «resta confermato l’elevato grado di sostituibilità tra canali fisici e canale virtuale» anche se l’e-commerce supporta molti negozi a fare business meglio e in modo più innovativo rispetto al passato. Dal 2019 al 2021 l’e- commerce ha fatto un balzo del 70,8% per quanto riguarda la vendita di beni mentre sono scesi i servizi. «Inutile farsi illusioni – ha sottolineato Bella – la competizione tra canali è destinata a intensificarsi, in conseguenza della pandemia; le vendite di servizi online recupereranno, quelle dei beni non si ridurranno».
Gli investimenti del Pnrr
«Pandemia e stagnazione dei consumi hanno acuito la desertificazione commerciale delle nostre città e rischiano di ridurre la qualità della vita di turisti e residenti. — ha commentato presidente di Confcommercio Carlo Sangalli —. Per scongiurare questa eventualità bisogna sostenere con maggior forza le imprese più colpite, soprattutto quelle della filiera turistica e utilizzare presto e bene le risorse del PNRR per migliorare il tessuto economico urbano e quindi l’attrattività e la sicurezza e delle nostre città».
© RIPRODUZIONE RISERVATA