Vaccinazioni in azienda: dal Veneto al Friuli, le zone pronte a partire
di Rita Querzè 04 mar 2021 (Corriere della Sera.it) – Il massimo dell’urgenza ce l’hanno gli addetti del turismo. Essere vaccinati vuole dire per loro assicurare a chi va in vacanza un ambiente a rischio ridotto. E, di conseguenza, poter ambire a un’estate in ripresa. «La Grecia ha iniziato campagne vaccinali nelle isole per creare microambienti Covid free. Anche noi dobbiamo mobilitarci e fare il possibile per salvare la prossima stagione estiva. Le vaccinazioni agli operatori del settore sono sicuramente uno strumento», dice la presidente di Federturismo Confindustria Marina Lalli. «Certo, non pretendiamo di venire prima del personale sanitario o delle categorie fragili che rischiano la vita — continua Lalli —, ma non appena questi saranno messi al sicuro bisognerà pensare anche alle vaccinazioni come strumento per fare ripartire l’economia. Ne abbiamo parlato con il neo ministro del Turismo Garavaglia».
Un’altra categoria a rischio è quella degli addetti al montaggio di impianti del settore metalmeccanico: anche per loro essere vaccinati vorrebbe dire ridurre il rischio che la trasferta si trasformi in un percorso a ostacoli. Infine ci sono tutti gli altri lavoratori. «Mettiamo a disposizione i luoghi di lavoro per fare le vaccinazioni», ha più volte ribadito il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. La disponibilità non è solo teorica. Molti territori stanno perfezionando un modus operandi e alcuni protocolli sono pronti alla firma.
Friuli Venezia Giulia e Veneto le Regioni in dirittura d’arrivo
In Friuli e Venezia Giulia e Veneto i protocolli da firmare con le Regioni sono pronti per la firma. Confindustria Alto Adriatico in particolare è sempre stata un passo avanti, già da quando si trattava di organizzare i tamponi in azienda. «Abbiamo una convenzione con la Croce Rossa e con le cooperative dei medici di base. Ovviamente ci siamo coordinati con il commissario uscente all’emergenza Covid Domenico Arcuri che ci aveva dato il via libera. Ora stiamo condividendo con la regione Friuli Venezia Giulia il testo del protocollo», spiegano in Confindustria Alto adriatico, precisando che nella partita è stato coinvolto anche il sindacato confederale.
Anche in Veneto il confronto con la Regione è in stato avanzato. «Ci siamo messi a disposizione dell’amministrazione per accelerare al massimo il processo di vaccinazione — racconta il presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro —. Direi che a breve anche il nostro protocollo dovrebbe essere definito. Certo, l’importante è che arrivino i vaccini». In Lombardia si stanno muovendo le territoriali di Brescia e di Bergamo. A Brescia 184 aziende si sono rese disponibili. Confindustria Bergamo si dice «a disposizione». Ma anche qui il punto di riferimento è la Regione. «Abbiamo scritto al ministro della Salute, alla Regione e all’associazione dei medici competenti che operano in azienda. Il nostro obiettivo sarebbe condividere un piano operativo con questi tre interlocutori», dice il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti. Intanto Confindustria Puglia ha scritto all’assessore alla Sanità Pier Luigi Lopalco mettendosi a disposizione ma per ora non è arrivata risposta.
Pro e contro
In questo moltiplicarsi di offerte di disponibilità in realtà non mancano le difficoltà. Primo: i vaccini che vanno conservati a temperature molto basse (Pfizer, Moderna) difficilmente possono essere gestiti nelle aziende. Nelle imprese, poi, potranno vaccinarsi persone appartenenti alla cosiddetta «fascia 6», quella degli adulti che non appartengono a particolari categorie di rischio, in pratica gli ultimi per ordine di priorità (e di tempo). Il coinvolgimento delle imprese può funzionare per le grandi realtà ma meno per le piccole o piccolissime. E’ anche vero che i centri vaccinali potrebbero essere allestiti nei distretti industriali. Al di là delle Regioni, a questo punto, sarà fondamentale la valutazione del neocommissario del governo Draghi per l’emergenza Covid, il generale Figliuolo. Di certo uno dei nodi è la mancanza di personale sanitario. In questo senso i medici competenti delle aziende potrebbero tornare utili.
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